Ciò che il Vescovo Claudio esprime nella sua nota, rappresenta viceversa quello che la Chiesa pensa: la tradizione religiosa è parte integrante della cultura di un popolo; essa non è solo irrazionalità, e come tale può abitare lo spazio pubblico. Il sentire religioso alberga nella parte profonda del cuore umano, per molti: rimuoverlo significa rimuovere un pezzo dell’uomo stesso; significa rendere artificiosamente monca una cultura, significa mettere a rischio la sua consistenza; significa fare una separazione irreale. Si potrebbe dire: nella trama profonda della cultura di un popolo, il vuoto rispetto al sentire religioso non esiste. A qualcosa o qualcuno di assoluto l’animo umano, anche collettivamente, farà sempre riferimento. Non vale dunque la pena eliminare i riflessi del sentire religioso nello spazio pubblico. Il sentire religioso, peraltro, è spesso portatore di valori ragionevoli che sostanziano la vita sociale e pubblica. E’ interessante a questo proposito ciò che Papa Francesco dice nella Laudato sì (63): «Se si vuole veramente costruire un’ecologia che ci permetta di riparare tutto ciò che abbiamo distrutto, allora nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa con il suo linguaggio proprio». Qui il Papa si riferisce all’ecologia, ma il discorso è valido anche più ampiamente.
Quando invece il sentire religioso diviene dannoso per lo spazio pubblico? Quando i suoi simboli divengono strumenti identitari o politici. In questo avviene una confusione di piani, e su questo è saggio proporre anche dei “passi indietro”: perché la religione, nella sua essenza, è altro. Nella religione vi è un annuncio etico e antropologico, non politico o identitario. Vi è un sostegno alle motivazioni e alle convinzioni, al modo di concepire la vita, l’altro, la terra, Dio. La comunità credente che si forma attorno a queste convinzioni, se coerente alla natura della religione, non si preoccupa di gestire il potere nella polis. Ovvio che vi saranno riflessi “politici”, ma in modo derivato dalla coscienza delle persone e delle comunità le quali, toccate da quell’annuncio, trasformano sulla base di quelle convinzioni il proprio modo di entrare in relazione con l’altro, e dunque di vivere nella polis.
Il cristianesimo ha contribuito a delineare tale quadro del rapporto tra religione e spazio pubblico. I cristiani ascoltano un messaggio che non è né identitario né politico in senso stretto; credono a parole che puntano a ricostruire nell’uomo la sua relazione con un Dio che è rivelato come Padre, e che come tale pone in una relazione di incontro e di dialogo con tutti gli altri uomini, riconosciuti come fratelli. Un messaggio dunque che, nelle coscienze, produce un modo di vivere nella polis basato sui valori del rispetto della dignità della persona umana, della solidarietà, dell’amicizia civile, della giustizia. I simboli della fede cristiana sono un bambino in una mangiatoia e un uomo crocifisso, e corrispondono a fatti storici. Tali simboli dicono chi è e che cosa vuole il Dio in cui i cristiani credono, e chi è ed è chiamato ad essere l’uomo. Come tali sono apportatori di valori alla cultura che concorrono a plasmare. Per questo i cristiani sono convinti che questi simboli, depositati nella coscienza profonda del nostro popolo, possono abitare lo spazio pubblico, a patto di non venire usati per fini che negano il loro stesso contenuto, e di non essere spostati dal piano autenticamente religioso a quello della funzione identitaria o politica.