Un altro imprenditore si è ucciso. Solo il silenzio ormai sembra essere adeguato. Oppure parole pesate, che vengano da “altrove”. Ogni volta che succede (e speriamo finisca) un amico, importante imprenditore della nostra provincia, mi scrive. Scrive parole dense di sofferenza e di speranza. Mi colpiscono le sue parole, perché sono le parole di un uomo che nella sua responsabilità di imprenditore ha deciso di tenersi sempre in contatto con la propria anima, con ciò che ha dentro di sé, e di condividerlo anche con me. E così non mi parla dei suoi affari, e forse nemmeno tanto delle sue difficoltà economiche (che ci sono), ma dei pensieri, dei sentimenti, delle preghiere che gli sgorgano dal cuore nel turbine di questo momento di crisi. Questo scambio fa bene a me e fa bene a lui. E rende evidente una cosa: è dall’anima che viene la vita e la voglia di vivere. E sono pochissime le cose che uccidono l’anima: una di queste è la brama di ricchezza. Anzi, ad ascoltare il Vangelo, essa è l’unica che uccide l’anima e dunque gli uomini. E’ l’unica alternativa secca che Gesù pone davanti agli uomini: “non potete servire Dio e la ricchezza”. La ricchezza non dà la vita, non dà il senso, non dà il fine. E’ rischiosa (la Chiesa questo ben lo sa, perché quando sceglie la ricchezza diventa sterile).
Con ciò non si vuol dire che gli amici imprenditori che piangiamo avevano scelto la ricchezza e rifiutato Dio. Piuttosto loro sono vittime di un sistema che nel suo complesso ha messo come unico proprio fine il profitto ad ogni costo, espellendo poco a poco il fine autentico dell’agire economico, che è quello di trovare il modo più efficace per soddisfare ai bisogni di tutti.
Ma una tendenza di sistema si crea quando uno dopo l’altro i singoli diversi attori si orientano in un certo modo, facendo diventare normale un certo comportamento ed eccezionale un altro. Dobbiamo richiamare a noi stessi che orientarci alla ricchezza in questo modo, prima o poi porta alla morte, in mille modi diversi. Morte individuale e morte collettiva. Non c’è scampo. L’effetto della ricchezza materiale sull’animo umano è dirompente. Abbiamo bisogno di trovare degli antidoti. Il più efficace, a parer mio, è quello di imparare nuovamente a dar voce all’anima, di purificarci dagli istinti di possesso e di grandezza; non dobbiamo vergognarci, pur nel turbine degli impegni economici, nei nostri consessi di affari, di parlarci di ciò che ci sta dentro, dei nostri dubbi di coscienza, dei nostri sentimenti più nobili ancorchè sopiti… di parlare di Dio e di gratuità nel mezzo del nostro agire quotidiano. Ridando voce all’anima, torneremo capaci di aiutarci reciprocamente a far gesti di autentica solidarietà, di spingerci gli uni gli altri a spostar l’occhio dal risultato immediato allo sviluppo complessivo del territorio, distinguendo bene tra ciò che è perseguimento del mio interesse privato e individuale e ciò che invece è bene comune, cioè bene mio ma anche tuo e di tutti.
Quando il vescovo, prima di Natale, incontra le categorie economiche padovane, per uno scambio di riflessioni e di auguri, sembra quasi che questo avvenga: lì, lontani dai riflettori, emerge un po’ l’anima degli operatori, e il desiderio di far bene per tutti. Impegni importanti vengono affermati, e sembra che l’economia abbia un volto umano… ma forse non basta. Dobbiamo forse tutti trovare il coraggio di quel mio amico imprenditore: vedere se il nostro animo è buono e raccontarcelo di più. Senza vergogna. E’ purificazione.