Per un nuovo civismo cristiano

Una riflessione in occasione dell'inizio degli incontri FISP sull'etica civile

Il nostro paese non solo non sta bene economicamente, e già è sufficiente, ma anche civilmente da qualche tempo ormai sembra aver perso la rotta per una buona e fiduciosa convivenza. Là dove c'è un clima sociale e una società ripiegata su se stessa, rivendicativa e rancorosa, con obiettivi di piccola portata, divisa e diffidente; là dove la società è un insieme inconcludente di elementi individuali, senza nessuna coesione, di soggettività esasperate e senza scopo tenute insieme da connessioni deboli (la “poltiglia di massa” di cui ha parlato il Censis); là dove la sfiducia nell'altro diventa fatto ordinario e “normale”, così che ad esempio due italiani su tre si dichiarano d'accordo con l'affermazione che “è meglio guardarsi dagli altri, perché potrebbero approfittare della nostra buona fede”, è chiaro che lì, gradualmente ma con certezza, il legame sociale progressivamente si deteriora e si afferma un clima da guerra di tutti contro tutti. Quella che si chiama “solidarietà umana”, “solidarietà civica”, quella mano cioè che si dovrebbe dare per puro spirito di appartenenza alla nostra comune umanità, si è come dileguata. Abbiamo la percezione che forse non troveremmo una mano così pronta e solidale a tirarci fuori dal buco nero della deriva. Gli anziani non si fidano più dei giovani: li sentono inaffidabili e rapiti da interessi futili e da valori ora superficiali, ora cinici. I giovani vedono negli anziani un ostacolo, un peso, qualcuno che gli sta rubando il futuro. Ed è brutto vivere così, tanto per gli uni che per gli altri.

 
 
Un'onda di pulsioni sregolate
Non riusciamo più a individuare un dispositivo di fondo (centrale o periferico, morale o giuridico) che disciplini comportamenti, atteggiamenti, valori. È ancora l'ultimo Rapporto Censis a cogliere una “diffusa e inquietante sregolazione pulsionale”, con comportamenti individuali all'impronta di un “egoismo autoreferenziale e narcisistico”: negli episodi di violenza familiare, nel bullismo gratuito, nel gusto apatico di compiere delitti comuni, nella tendenza a facili godimenti sessuali, nella ricerca di un eccesso di stimolazione esterna che supplisca al vuoto interiore del soggetto, nel ricambio febbrile degli oggetti da acquisire e godere, nella ricerca demenziale di esperienze che sfidano la morte (come il balconing). “Siamo una società pericolosamente segnata dal vuoto”. Vi è l'impressione che oggigiorno le convinzioni più profonde facciano sempre più fatica a formarsi, che i processi di maturazione umana riescano con maggiori difficoltà. Non soltanto nel senso che i valori del cristianesimo sono meno interiorizzati. I valori in assoluto, i valori semplicemente umani, sembrano oggi meno interiorizzati.
 
I difetti di chi?
In questo clima ben concreto, siamo pronti a puntare il dito verso i difetti delle istituzioni, della politica e dei partiti in primis, dello stato, dei servizi e così via. In questo vi è sicuramente, e da (troppo) tempo, un sentimento vero che corrisponde alla realtà dei fatti. Ma vi è anche dell'altro, che è bene iniziare a chiamare con il suo nome. Non ci sono solo i difetti del sistema a contare ma anche i nostri difetti individuali. C'è in giro un “individualismo amorale e incivile”, se non a volte decisamente cinico ed egoistico, che oggi risulta decisivo per il formarsi di un clima complessivo di imbarbarimento e di illegalità. Non stiamo qui a ricordare fatti che sono sulla cronaca. Strisciante analfabetismo, diffuso lassismo, vantato disprezzo delle regole, caratteriale furberia, strafottenza dei singoli e delle corporazioni, solidarietà e tolleranza di superficie, stucchevole buonismo e perdonismo… sono solo alcuni degli aspetti visibili di questo nostro deperimento civico.
 
Una presenza civile
In questo contesto non serve a nulla chiamarsi fuori. In un modo o nell'altro. Quel lucidissimo documento che rimane “La chiesa italiana e le prospettive del paese”, del Consiglio permanente della Cei (1981), affermava che «c'è innanzitutto da assicurare presenza. L'assenteismo, il rifugio nel privato, la delega in bianco non sono leciti a nessuno, ma per i cristiani sono peccato di omissione. Si parte dalle realtà locali, dal territorio. E si è partecipi delle sorti della vita e dei problemi del comune, delle circoscrizioni e del quartiere: la scuola, i servizi sanitari, l'assistenza, l'amministrazione civica, la cultura locale». Tutto questo si chiama “impegno civile”, “senso civico”, “etica civile”, “civismo”. E viene indicato come prima decisiva forma della presenza dei laici cattolici nella vita quotidiana. È da qui che dobbiamo ripartire per un nuovo civismo cristiano. La Gaudium et spes lo chiama umanesimo della responsabilità (n. 55). L'autentica sfida che ci attende come credenti è quella di un vero civismo cristiano in grado di prendere forma nella vita quotidiana, negli interstizi del tempo e delle relazioni, nel posto di lavoro, nei mezzi pubblici, nei luoghi della sofferenza e dell'istruzione. Dobbiamo «mirare alla formazione di un uomo educato, pacifico e benefico verso tutti, per il vantaggio di tutta la famiglia umana» (GS, 74). «Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica: essi devono essere d'esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune, così da mostrare con i fatti come possano armonizzarsi l'autorità e la libertà, l'iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corpo sociale, la opportuna unità e la proficua diversità» (ivi, 75). Come si vede, le indicazioni non mancano. Forse non le conosciamo in maniera adeguata.
Liberi da fardelli ideologici culturalmente superati e inadeguati ai tempi, come cristiani ci troviamo nella posizione di esercitare la nostra responsabilità per il bene comune.
Quella profonda testimonianza dei primi cristiani che si trova nella Lettera a Diogneto, afferma che «Dio li (i cristiani) ha messi in un posto tale che a essi non è lecito abbandonare». È il nostro posto di “cittadini del Vangelo”, come dice san Paolo, che noi oggi dobbiamo riprendere in mano. Interiorizzare. Pazientemente e umilmente formare in noi, perché il clamore non appartiene allo “stile cristiano” di stare al mondo
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