Un rinnovato impegno comune per il lavoro e la qualità delle relazioni sociali

Messaggio del Vescovo Antonio Mattiazzo per la festa del lavoro 2010

«Con il suo lavoro e la sua laboriosità, l’uomo, partecipe dell’arte e della saggezza divina, rende più bello il creato, il cosmo già ordinato dal Padre; suscita quelle energie sociali e comunitarie che alimentano il bene comune, a vantaggio soprattutto dei più bisognosi» (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 266).
Nel nostro Paese e nel nostro territorio stanno continuando le difficoltà legate alla crisi economica che ha investito l’intero pianeta. L’anno scorso abbiamo offerto su questo particolare momento una serie di considerazioni che rimangono attuali (cfr. Cristiani e crisi economica, 22 marzo 2009). Come Chiesa di Padova, desideriamo ritornare sull’argomento per offrire una lettura sapienziale ed etica, che sia occasione di riflessione per coloro che sono impegnati al servizio del bene comune e, in modo particolare, per i singoli cristiani e le comunità.
Alcuni macro-indicatori dicono che qualche segnale di ripresa economica c’è. Tuttavia, resta sempre aperta la domanda: la crisi ha portato qualche serio mutamento di paradigma nei processi economici e finanziari, nel modo di impostare le relazioni economiche e nella scala di valori perseguiti dai diversi soggetti? La recente enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI rappresenta da questo punto di vista una seria sfida culturale e morale, e per questo suggeriamo a tutti gli operatori di conoscere questo testo, di studiarlo, di farlo oggetto di una seria ed approfondita riflessione e di raccogliere le sfide ivi contenute: in particolare quella di pensare ad un’economia in cui non venga annullata ma valorizzata l’autentica relazione tra persone, comprendente i tratti della fraternità e della reciprocità.
 
«Il lavoro va onorato perché fonte di ricchezza o almeno di condizioni di vita decorose e, in genere, è strumento efficace contro la povertà (Cfr Proverbi 10,4)»(Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 257).
Anche se gli indicatori macroeconomici danno qualche segnale positivo, c’è un altro aspetto che deve preoccupare sia la società sia la comunità cristiana: le conseguenze della crisi che si stanno abbattendo sulle persone che lavorano. È il lavoro, oggi, il nodo problematico che abbiamo di fronte: la sua mancanza, la sua precarietà, la sua incerta prospettiva futura. La prossima festa del lavoro sia perciò un’occasione preziosa per riflettere su questo particolare aspetto e creare ulteriori sinergie tra tutte le forze sociali, come già si sta cercando di fare.
La Chiesa di Padova, attraverso parrocchie e istituzioni, incontra ogni giorno moltissime persone toccate dalla crisi nel loro lavoro: volti concreti di uomini e donne che soffrono.
In meno di un anno dall’istituzione del Fondo straordinario di solidarietà, agli undici centri di ascolto attivati da Caritas, con la collaborazione anche delle Acli, nel territorio della Diocesi, si sono rivolte circa mille persone – italiani e stranieri – per chiedere un aiuto economico in seguito a licenziamenti o a difficoltà di altro genere. Grazie al Fondo straordinario di solidarietà, costituito con i contributi della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, della Diocesi di Padova, della Provincia di Padova e della Fondazione Antonveneta sono state già aiutate circa 600 persone. Molte altre sono state ascoltate nelle loro storie, nelle loro inquietudini, nelle loro sofferenze: segno che in questo momento di crisi emergono sì tanti bisogni materiali, ma che dietro a questi si nascondono molte altre necessità psicologiche, relazionali, spirituali.
Come Chiesa di Padova vogliamo ribadire che siamo vicini, fattivamente e spiritualmente, a tutte queste persone. Vicini ai disoccupati e alle loro famiglie: in particolare alle fasce più deboli, i giovani, le donne, gli immigrati (che vivono l’aggravante della perdita – con il lavoro – di altri diritti); non dimentichiamo che nel nostro territorio è molto alto il numero di persone che sono state licenziate nel 2009, e anche nei primi mesi del 2010. Siamo vicini a tutti coloro che stanno usufruendo della cassa integrazione, che vedono rimpicciolirsi i loro redditi, e per molti dei quali si profila all’orizzonte l’incertezza e l’incubo del licenziamento. Siamo vicini alle aziende, ai loro titolari, spesso impegnati in generosi sforzi per mantenere l’occupazione o per limitare il più possibile i danni.
E in particolare siamo vicini alle famiglie di coloro, veramente molti – troppi – nel nostro territorio, per i quali il peso della crisi economica si è aggiunto ad altri carichi esistenziali, inducendoli a togliersi la vita.
Di fronte ai volti di queste persone ci sentiamo in dovere di richiamarci tutti, anche nel nostro territorio, ad un rinnovato impegno in favore del lavoro, ad una vera e propria «coalizione in favore del lavoro decente», come afferma il Papa nella sua ultima enciclica (cfr. Benedetto XVI, Caritas in veritate,63), perché il lavoro “decente” è una delle dimensioni fondamentali attraverso cui la persona può sperare di raggiungere condizioni di vita dignitose per sé e per i propri cari. In questo momento emerge come prioritario l’obiettivo dell’«accesso al lavoro» e del «suo mantenimento per tutti» (Caritas in veritate, 32).
A questo proposito guardiamo con interesse a tutti quegli sforzi che i vari soggetti del territorio stanno mettendo in atto, per soccorrere sia l’aspetto materiale, sia quello relazionale ed esistenziale delle persone in difficoltà. Le nostre istituzioni, la pastorale sociale, le associazioni tra cui l’UCID, le comunità, sono disponibili ad una collaborazione fattiva. Riteniamo che l’alleanza tra istituzioni e soggetti della società civile sia necessaria sempre, ma oggi in modo particolare.
 
«L’esigenza della giustizia precede quella del guadagno: “Poco con il timore di Dio è meglio di un gran tesoro con l’inquietudine” (Proverbi 15,16); “Poco con onestà è meglio di molte rendite senza giustizia” (Proverbi 16,8)», (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 257)
In questo periodo di crisi in qualche momento può nascere lo scoraggiamento di fronte a meccanismi totalmente al di fuori della portata dei singoli: cosa può fare il singolo di fronte alle dinamiche dell’economia mondiale? Come cristiani non possiamo e non vogliamo arrenderci a questa sensazione di impotenza. Noi pensiamo che ci siano spazi di speranza e di azione, perché ogni meccanismo economico, ogni istituzione, ogni tecnica, è pur sempre frutto di scelte morali, di obiettivi ben definiti che gli uomini, come singoli o come gruppi, si pongono (cfr. Caritas in veritate, 68). E se le istituzioni o i meccanismi, o la tecnica producono ingiustizie, la responsabilità è di chi pensa, crea, governa e alimenta quelle strutture. Se gli uomini hanno obiettivi di giustizia e di bene comune, e vi si dedicano con passione e rettitudine, i meccanismi, le istituzioni e le tecniche saranno giuste e al servizio delle persone. Pertanto anche la tutela delle persone che lavorano, così come lo sviluppo, «è impossibile senza uomini retti, senza operatori e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune» (Caritas in veritate, 71). Noi vogliamo, in questa occasione, richiamare a tale responsabilità, evidenziando anche quattro aspetti che ci sembrano oggi particolarmente problematici e preoccupanti, e che però se affrontati, costituiscono i punti di un possibile sforzo comune in favore della giustizia.
Il primo è la crescente disuguaglianza di ricchezza che si sta manifestando nella nostra società e anche nel nostro territorio. A volte questa disparità assume aspetti visibili inquietanti. Ognuno ha il dovere di domandarsi in coscienza quale sia il limite all’accumulo di beni, soprattutto quando masse enormi mancano del necessario.
L’avidità di beni materiali è un vizio particolarmente insidioso, perché è un impulso che può essere senza limiti e diviene irragionevole e perverso se non è “governato” dalla virtù della giustizia e della carità, in uno stile di vita sobrio. Va ricordato che ormai molti studi dimostrano come l’accumulo di ricchezza materiale non alimenti la qualità della vita delle persone, in termini di felicità e benessere interiore: questi piuttosto sono i frutti di altri tipi di beni, quelli relazionali. Al contrario, in una impostazione di vita materialistica ed edonistica aumenta l’uso di psicofarmaci, di droghe e il ricorso agli antidepressivi. La ragione sta nel fatto che uno dei fattori che rende felice l’uomo è la possibilità di donare e ricevere gratuitamente, e ciò è tanto più possibile quanto più ricche e fraterne sono le relazioni umane. Tali studi confermano che «l’essere umano è fatto per il dono», come ricorda Benedetto XVI nella sua enciclica (Caritas in veritate, 34). Dunque la preoccupazione per i beni non può occupare in modo indefinito tutto lo spazio della vita e della società umana. È da tener presente, inoltre, che l’accumulo di beni non di rado ha ricadute negative anche sull’ambiente, perché è spesso associato allo spreco e all’utilizzo eccessivo di risorse naturali.
Il secondo aspetto, legato a questa avidità di beni, è la voracità e la velocità con le quali spesso si cercano i guadagni. Anche qui, crediamo che sia possibile mettere in atto scelte virtuose da parte di tanti soggetti (singoli, imprese, banche, ecc.), rompendo quegli schemi che vengono ritenuti e millantati come inevitabili, perché “tutti fanno così e se non fai così sei fuori”. Vogliamo fare appello alle energie migliori, a tutti i livelli, perché si inizi a invertire questa rotta, mostrando che è possibile contaminarsi in positivo, è possibile una «ibridazione» nel bene (cfr. Caritas in veritate, 38). Padova, città che si è sempre caratterizzata per una grande tradizione di solidarietà sociale, non sia reticente in questo.
A proposito della velocità e della facilità dei guadagni immediati, domandiamoci ancora una volta se sia un bene, o non piuttosto un grave danno per le persone, le famiglie e per la società, il ricorso, promosso purtroppo anche dallo Stato, al gioco d’azzardo e alle lotterie che legano il guadagno di cifre sproporzionate alla cieca casualità, sganciandolo dal lavoro.
Un terzo aspetto, di cui si parla poco, ma che agisce sottotraccia, è il fenomeno aberrante dell’usura. La situazione di difficoltà in cui versano tante persone, famiglie e imprese, può divenire facile preda di individui senza scrupoli. Noi vogliamo ricordare che su questa pratica l’etica cristiana ha sempre pronunciato un giudizio molto severo. Su chi presta denaro ad usura incombe il giudizio di Dio: invitiamo con forza i responsabili a convertire le loro condotte. E auspichiamo che ogni persona che si trovi vittima di usura abbia la forza di presentarsi ai soggetti che possono fornire aiuto in questo campo e di denunciare i colpevoli alle autorità competenti.
Un ultimo cenno vorremmo farlo al tema delle aperture domenicali degli esercizi commerciali. Già in passato ci eravamo espressi con chiarezza su questo tema e il dibattito attuale ci provoca a ritornare sull’argomento, perché vi sono implicati valori di grande importanza.
Qual è la logica o motivazione prevalente di tale scelta? Senza dubbio è quella del sistema produttivo e dei consumi come prioritaria rispetto alle esigenze connesse con il senso ed il valore della Domenica.
Siamo consapevoli che possono esserci dei motivi ritenuti “ragionevoli” per attuare certe scelte che vedono un trend indistinto in tutta la regione; ma, pur sapendo che non compete a noi prendere decisioni, ci sentiamo in dovere di porre una serie di domande di fondo e rilanciare una riflessione seria sul tempo dell’uomo: siamo proprio sicuri che questo trend sia un bene per la società, per la famiglia, per l’economia stessa? Siamo convinti di voler definitivamente arrenderci all’idea che per far socializzare le persone nel giorno festivo, sia necessario per forza proporre attività di mercato? Non è forse una società triste, meno umana, quella in cui non esistono spazi liberi dallo scambio commerciale? Non stiamo così tradendo la grammatica umana fondamentale, suggeritaci dal cristianesimo, che vuole che l’uomo abbia il suo giorno di riposo, il giorno libero dagli affari e dal lavoro? Non riusciamo proprio a dedicare tempi comuni di sola gratuità? Non ci stiamo arrendendo ad una visione più materialistica della vita umana? Non abbiamo più la forza (o la voglia) di invertire, ad ogni livello, questo meccanismo, in nome di una visione completa di persona umana e di relazione sociale?
Fa impressione che nel dibattito non si faccia più riferimento al comandamento di Dio e al senso cristiano della Domenica. Vorremmo richiamare l’attenzione sul fatto che il senso cristiano della Domenica è di proporre dei valori fondamentali di una qualità di vita umana, personale e sociale, degna dell’altissima vocazione dell’uomo, fondamento quindi di una “vita buona”. Il riposo festivo è un’esigenza profonda perché assicura la trascendenza e la libertà dell’uomo rispetto alle cose terrene, il primato e la Signoria di Dio e non quella del profitto materiale, la cura della propria vita spirituale, il coltivare la vita e gli affetti familiari, la necessaria distensione del corpo e dello spirito, l’esercizio delle opere di carità verso il prossimo.
Per questo il riposo festivo è da considerare come un diritto. La logica del sistema produttivo e del consumismo, quando diventa prioritaria, conduce ad un degrado del senso autentico della vita e ad uno stravolgimento della gerarchia di valori personali e sociali: i mezzi si trasformano in fini, ciò che è relativo diventa assoluto (ecco l’idolatria), i beni materiali prevalgono su quelli spirituali.
Vorremmo anche sottolineare il fatto che, nel caso delle aperture domenicali degli esercizi commerciali, è avvantaggiata la grande distribuzione rispetto ai piccoli negozi. Ma questo è giusto? Siamo al solito punto: si privilegiano i forti rispetto ai deboli.
In definitiva, ci rendiamo conto che qui si tocca un aspetto cruciale della crisi della nostra società, che è, nel fondo, una crisi di civiltà.
 
«Il lavoro è essenziale, ma è Dio, non il lavoro, la fonte della vita e il fine dell'uomo» (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 257)
Tutto il pensiero cristiano sul lavoro ci porta ad evidenziare, in questa occasione, un altro punto, su cui come Chiesa di Padova vorremmo sempre più insistere e spenderci: la grande domanda sul senso e sul significato del lavoro umano. Ci pare sempre più evidente che, oltre ai problemi etici e sociali circa il lavoro, oggi si stia perdendo di vista anche la domanda del “perché” lavorare. Non saper rispondere a questa domanda ci pare una delle cause di tanti malesseri della società, delle persone, delle famiglie, che va drammaticamente ad intrecciarsi con i momenti di difficoltà legati alla precarietà, alla disoccupazione. Ciò si manifesta ad esempio con un fenomeno singolare, anche dal punto di vista economico: alcuni lavori, come quelli legati alla cura delle persone, non vengono apprezzati, e spesso non si trovano giovani disposti a svolgerli. Sembra esserci una sorta di distorsione proprio rispetto al valore e al senso in se stesso del lavoro, per cui viene persa di vista la sua dimensione di servizio agli altri e alla comunità, privilegiando invece dimensioni quali il prestigio e l’apparenza.
L’offuscarsi della grammatica umana di matrice cristiana, sembra portare con sé la fatica di trovare le motivazioni profonde, molto più ampie di quelle meramente materiali, sul “perché” del lavoro. Ciò comporta anche il non saper armonizzare convenientemente lavoro e vita, lavoro e famiglia, lavoro e festa, lavoro e relazioni, lavoro e solidarietà, lavoro e carità, lavoro e spiritualità. È vero che la mancanza di un senso spesso si lega all’insieme delle condizioni esterne che si creano attorno all’esperienza lavorativa, ma anche qui esiste un grande spazio per il recupero di un significato “umano” del lavoro, quasi di una “spiritualità” del lavorare. Si tratta di sceglierla, di ricercarla, di coltivarla. Gli strumenti, offerti anche dalla Chiesa, ci sono, ed esortiamo ad avvalersene, non considerando questa dimensione spirituale un lusso per pochi: riteniamo infatti che possa essere una risorsa altrettanto importante, al pari di quelle materiali, per affrontare le fatiche e le difficoltà della dimensione lavorativa.
 
Crediamo che tutto questo possa essere un contributo prezioso ad imboccare una via di speranza e di rinascita in ordine alla qualità del vivere sociale nel nostro territorio e ad uno stile di vita e di lavoro autenticamente umano. E anche a rintracciare dentro di noi risorse insperate per avviarci in modo non fatalistico su di una via di uscita dalla crisi che non sia effimera, ma che sgorghi da scelte responsabili di tutti e di ciascuno.
 
 
Antonio Mattiazzo
Arcivescovo – Vescovo di Padova
  
1 maggio 2010